“Cuochi d’Italia”, con Bruno Barbieri, Cristiano Tomei e Gennaro Esposito

La nuova versione del programma diventa un autentico “Campionato del mondo”. L’appuntamento con la sfida a colpi di fornelli e di ricette è a partire da lunedì 6 gennaio alle ore 19,30 su Tv8V

Da cooking show nostrano, “Cuochi d’Italia” cambia veste e diventa una gara tra prodotti e sapori etnici. Ma non è l’unica importante novità. Nella nuova versione del programma che diventa così un autentico “Campionato del mondo”, il padrone di casa è Bruno Barbieri affiancato dai confermatissimi giudici, gli chef Cristiano Tomei e Gennaro Esposito. L’appuntamento con la sfida a colpi di fornelli e di ricette è a partire da lunedì 6 gennaio alle ore 19,30 su Tv8.

Se fino ad oggi abbiamo visto i “Cuochi D’Italia” affrontarsi a suon di ricette tipiche delle regioni italiane, con il nuovo anno, il talent show varca i confini nazionali per farci assaporare i migliori piatti e sapori di tutto il mondo. La nuova edizione di “Cuochi d’Italia” – una produzione originale Banijay Italia – vedrà 20 cuochi professionisti internazionali (che hanno trovato in Italia la loro nuova patria e lavorano in ristoranti che propongono ricette originarie della loro cultura gastronomica) sfidarsi con la preparazione dei piatti tipici delle loro terre raccontando i segreti della loro cucina, storia e cultura di provenienza.

Si tratta di un viaggio alla scoperta dei piatti che ormai sono entrati nella nostra cultura gastronomica, dalla paella al sushi, dall’hamburger al pollo al curry fino alle ricette più esotiche come il bibimbap coreano, il koshari egiziano e il pasticcio di aringa russo. In ciascuna puntata due cuochi che rappresentano altrettanti Paesi, si sfideranno in una doppia manche.

Le prime dieci puntate sono gare “dirette” di andata e ritorno tra due cuochi, che si confrontano prima su un piatto tipico di un Paese e poi su quello dell’altro. Al termine della sfida viene incoronato il vincitore di puntata.

Nelle successive cinque puntate, ritroviamo i vincitori del primo turno, che si affronteranno in due manche. Nella prima, il concorrente che “gioca in casa” porta un ingrediente tipico del proprio Paese, al quale i due giudici Gennaro Esposito e Cristiano Tomei aggiungono ulteriori ingredienti a sorpresa. Nella seconda, invece, sarà l’avversario a proporre, con le stesse modalità, un ingrediente simbolo della propria terra di appartenenza. Soltanto in cinque accedono al terzo turno, il sesto sfidante sarà invece ripescato.

Le semifinali, invece, prevedono due sfide dirette: i concorrenti ancora in gara cucinano un piatto del proprio Paese, scelto dai giudici. Gli chef Tomei e Esposito dovranno mettersi d’accordo e decretare la cucina straniera, protagonista assoluta, quella che saprà valorizzare al meglio la tradizione del proprio territorio.

da Sorrisi e Canzoni TV

02 Gennaio 2020 | 9:00 di Antonella Silvestri https://www.sorrisi.com/tv/programmi/cuochi-ditalia-con-bruno-barbieri-cristiano-tomei-e-gennaro-esposito/

Africana, indiana, filippina le cucine che salveranno il pianeta

«Un’anima che non mangia pepe è un’anima morta», recita un antico detto nigeriano.

«Teniamolo a mente — suggerisce dalle pagine del New York Times la cuoca e stylist di Lagos Yewande Komolafe entry della sezione food del giornale americano — perché di ricette dell’Africa occidentale si sentirà parlare parecchio». Vero: in tutto il mondo c’è grande fermento. Chef emergenti, nuovi ristoranti di fine dining, qualche piatto pronto d’ispirazione «afro» nei supermercati (catene come Waitrose e Whole foods sono in prima linea). Le prove che questa è una cucina in ascesa, insomma, sono già tantissime. Oltre al riso jollof, rosso e invitante, al platano fritto e alle foglie di amaranto stufate — da qualcuno già definite il nuovo kale — che Komolafe ha raccontato ai lettori del Times, per esempio, sempre a New York lo chef Pierre Thiam ha da poco aperto un locale senegalese, «Teranga». E sta per pubblicare un libro sul fonio, il cereale senza glutine coltivato in quell’area che va dal Senegal al Ciad — l’Africa occidentale, appunto — altamente sostenibile (necessita di pochissima acqua) e nutriente (è ricco di proteine e fibre). Per di più ora acquistabile anche da noi, visto che l’Ue lo ha inserito tra i novel food, i nuovi alimenti per i quali è consentita l’importazione.

Poi: tra i finalisti del Basque Culinary World Prize 2019, il «Nobel del cibo» per i progetti a cavallo tra gastronomia e inclusione sociale, c’era la chef Selassie Atadika: dopo una carriera nella cooperazione internazionale all’Onu è tornata nel suo Ghana e ha aperto, ad Accra, «Midunu», un ristorante tutto al femminile che dimostra la raffinatezza della cucina africana e supporta le dipendenti nella ricerca di autonomia. Nel Regno Unito la giovane creativa Zoe Adjonyoh ha fondato «Ghana Kitchen», un supper club/ catering/ricettario di successo. Londra ospita anche il primo ristorante stellato nigeriano, «Ikoyi»: ai fornelli c’è lo chef sino-canadese Jeremy Chan affiancato dall’amico e socio di Lagos Iré Hassan- Odukale. A Parigi si contano «Ohinéné», ristorante ivoriano di Edith Gnapié, e il senegalese «Villa Masaai» di John Houssou.

In Italia? Notizia recentissima: a vincere il «Cous cous fest», storica competizione culinaria che si tiene a San Vito Lo Capo (Trapani), quest’anno è stata Mareme Cisse, chef senegalese del ristorante afro-siciliano «Ginger people&food» (Agrigento). Gli ingredienti decisivi: tartare dell’orto, mango, iohos (polpo) marinato e lessato secondo tradizione servito su crema di carote e zenzero con erbette e spezie di Salamba, «un particolare mix di coriandolo, chiodi di garofano, cannella e aglio che faccio io e che porta il nome di mia mamma, una pescatrice», racconta chef Mareme. Dunque, sì. La cucina dell’Africa occidentale è decisamente entrata nella mappa food (e gourmet) globale. «Ma non si tratta di una semplice tendenza — spiega lo chef Pierre Thiam, tra i più instancabili ambasciatori culinari della zona, da anni impegnato con la startup Yolélé Foods per aiutare i produttori africani a vendere il fonio all’estero —. Questa cucina esiste da secoli e ci sarà a lungo. Però finalmente l’Occidente ha capito che può avere un posto interessante nella “tavola del mondo”. E che può servire per diversificare la dieta di tutti».

Ecco il punto: accanto alla ragione modaiola («I foodies sono sempre in cerca di nuovi sapori e di nuove destinazioni», riassume bene Thiam) e alle opportunità di business (per le aziende, spesso occidentali), l’attenzione per le cucine «del Sud del mondo» è anche legata alla salute, all’ambiente e alla biodiversità. E il ragionamento si può senza dubbio estendere a quella indiana, vietnamita, filippina, indonesiana… Gli ingredienti base di molti dei loro piatti, infatti, sono vegetali, proteici e senza glutine, adatti quindi a una dieta meno ricca di carne e a chi soffre di intolleranze. E aprono nuovi scenari in termini di sostenibilità. «La maggior parte dei nostri raccolti — spiega Thiam, tornando all’Africa occidentale — resiste alla siccità. Cereali come il fonio e piante come la moringa, per esempio, hanno radici lunghe e profonde che cercano da sole l’acqua sottoterra, crescendo anche in zone desertiche. E poi fissano l’azoto nel suolo, creando migliori condizioni di sviluppo per sé e per le altre piante, mitigando di conseguenza gli effetti del cambiamento climatico». È quello che gli esperti chiamano circolo (virtuoso) dell’azoto, un fertilizzante naturale: più ce n’è nel terreno, più la vegetazione cresce e dunque più anidride carbonica verrà assorbita, facendo calare l’effetto serra.

Non è un caso che il Wwf abbia inserito fonio e moringa nella lista dei «50 alimenti del futuro salutari per le persone e per il pianeta» insieme a molti altri cibi provenienti dai Paesi in via di sviluppo: il teff (cereale diffuso tra Etiopia ed Eritrea), l’amaranto (coltivato in America centrale, ma anche in Nigeria), l’okra (verdura simile all’asparago, ma tipica dei Caraibi e dell’Africa, la più resistente al calore che esista al mondo), i fagioli di Bambara (legumi tipici del Togo), il miglio indiano e via dicendo.

Prendiamo proprio l’India. Altro Paese che, come l’Africa, in Occidente è — erroneamente — associato a una dieta poco varia, «buona ma povera». La cucina indiana in realtà è una miniera di gusti e di ingredienti, e ce ne stiamo facendo un’idea anche noi grazie a libri che ne raccontano le sfumature regionali (Coconut Lagoon, per esempio, si concentra sull’area meridionale del Kerala) e a chef che stanno raggiungendo traguardi altissimi. Per esempio Garima Arora, Asia Best Female Chef 2019 per i 50 Best Restaurants e prima cuoca indiana donna ad aver ottenuto una stella Michelin: 33 anni, di Mumbai, ex giornalista, ha lavorato con Gordon Ramsay, con René Redzepi, con Gaggan Anand. Nel 2017 ha aperto a Bangkok «Gaa», ristorante «indiano moderno», e il suo obiettivo è dimostrare che con quel patrimonio millenario di tecniche e ingredienti la cucina del suo Paese può trainare le altre dell’Asia, esattamente come l’italiana e la francese hanno fatto in Europa. «Invece di pensare ai nostri piatti come a semplice comfort food, noi chef indiani dobbiamo sforzarci di creare cose raffinatissime, cerebrali, a partire da prodotti umili. E la verità è che possiamo anche insegnare qualcosa al mondo: come cucinare le verdure per esempio. Solo noi, con la cottura lenta sul fuoco, sappiamo caramellarle e renderle così deliziose». Non è poco in un pianeta che cerca di aumentare il consumo di vegetali per ridurre quello di carne.

Ecco perché potrebbe essere utile ispirarsi, anche nella cucina di casa, alle ricette planet friendly di altre culture: quella vietnamita per esempio, il cui piatto forte, il pho, usa le parti meno nobili del manzo (ossa, tendini, petto) per insaporire e rendere proteico il brodo senza sprecare nulla. O il dal indiano a base di lenticchie, o il monggo filippino, verdissima zuppa di fagioli munghi — un altro dei 50 cibi del futuro — ricca di vitamine e molto gustosa. La ricetta arriva direttamente dal New York Times, che ha appena assoldato una food writer filippina, la chef Angela Dimayuga. Che stia per nascere una nuova tendenza?


di Alessandra Dal Monte

https://cucina.corriere.it/notizie/19_ottobre_15/africana-indiana-filippina-cucine-che-salveranno-pianeta-790d88e2-ef5b-11e9-9951-ede310167127.shtml?refresh_ce-cpAFRICANA&fbclid=IwAR28ND1GCCw1_SNK3h1Lkwg1hte7r3qkRb-J-fmTSR8OSJg_ORa9j8Pz4I0


Cous Cous Fest 2019. Vince la chef Mareme Cisse di Ginger-people&food di Agrigento

SONO 22 ANNI CHE SAN VITO LO CAPO SI TRASFORMA NELLA CAPITALE DEL COUS COUS. OSPITANDO UNA COMPETIZIONE TRA CHEF CHE INTERPRETANO IN MODO ORIGINALE QUESTO PIATTO, SIMBOLO DI FRATELLANZA E INTEGRAZIONE TRA I POPOLI.

Dal 20 al 29 settembre, San Vito Lo Capo ha ospitato la XXII edizione del Cous Cous Fest. Il tradizionale appuntamento di fine estate è ormai diventato un importante evento gastronomico dal respiro internazionale e quest’anno ha visto la partecipazione di otto chef provenienti da quattro continenti richiamando nella cittadina siciliana turisti e appassionati di cucina da tutta Italia. Il Festival è infatti molto più di una semplice manifestazione dedicata al cous cous, è anche l’occasione per elevare quest’antico alimento a simbolo di fratellanza e integrazione tra i popoli. Ogni anno a San Vito Lo Capo si materializza lo spirito di condivisione di un antico rito conviviale, capace di unire le due sponde del Mare Nostrum e non solo.

Il cous cous

Il cous cous è un alimento della cultura dell’area nordafricana. Le sue origini vanno probabilmente ricercate nelle più antiche tradizioni dei Berberi, che avevano la necessità di contare su alimenti di lunga conservazione, facili da trasportare e semplici da cucinare. Il cous cous è un cibo duttile, che si può abbinare a verdure, legumi, carni, pesce, creando piatti dai sapori diversi, partendo da una base di piccoli grani di semola. Un alimento umile, che diventa un piatto unico completandosi con ciò che la natura mette a disposizione. È un piatto figlio della cultura dei cereali, che insieme alla vite e all’olivo contribuiscono a fondare l’identità del paesaggio e dei popoli del bacino del Mediterraneo.

La produzione casalinga del cous cous

L’antica produzione casalinga del cous cous avveniva durante i mesi estivi, quando il clima caldo e secco favoriva un veloce processo d’asciugatura. I chicchi di grano erano pestati fino a creare una semola omogenea, la farina di grano duro veniva messa nella mafaradda, un grande piatto di ceramica, leggermente bagnata e lavorata con le mani in modo da ottenere minuscole sfere, poi passate in semola asciutta per evitare che si appiccicassero tra di loro. I piccoli granelli così creati venivano setacciati a mano e stesi al sole ad asciugare.

Il cous cous si cuoce a vapore nella cussussiera, un’alta pentola di metallo sulla cui sommità viene appoggiato un recipiente con il fondo forato, chiuso da un coperchio, simile a una vaporiera.

Cous Cous Fest Piatto del Senegal
Il piatto del Senegal. Vincitore del Cous Cous Fest

La diffusione del cous cous

Ancora oggi il cous cous è il piatto tradizionale dei popoli del Maghreb. È diffuso lungo tutta la sponda sud del Mediterraneo e anche nella zona subsahariana. In Italia, la preparazione del cous cous è soprattutto presente nell’area del trapanese, da sempre legata da scambi e commerci con le terre del Nord Africa.

Non è un caso che San Vito Lo Capo sia diventata la capitale italiana e mondiale del cous cous, grazie alla felice intuizione di creare un evento capace di catalizzare attorno a un alimento le tradizioni culinarie e culturali dei Paesi del sud del Mediterraneo.

Il Cous Cous Fest

L’idea di dedicare un evento al cous cous nasce a San Vito Lo Capo negli anni ’70, con una piccola sagra locale. Agli inizi degli anni ’80 si cominciò a pensare a una manifestazione di respiro internazionale, che potesse diventare un vero e proprio evento gastronomico e nel 1998 si svolse la prima edizione del Cous Cous Fest.

Cous Cous Fest 2019. foto di gruppo

Cous Cous Fest 2019. I partecipanti

Giunto alla ventiduesima edizione, il Cous Cous Festival è diventato un importante appuntamento, che coinvolge chef di tutti i continenti. Quest’anno la competizione ha visto in gara: Mareme Cisse (Senegal), Yosi Hanoka (Israele), Giuseppe Peraino, Francesco Bonomo e Massimiliano Poli (Italia), Mohamed Lamnaour (Marocco), chef Mina (Palestina), Kevin Sbraga (Stati Uniti), Karim Bahbah (Tunisia), Basim Alfatlawi e Jamol Ismail Ssali (Unhcr, ovvero Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati).

Cous Cous Fest 2019 La vincitrice Senegal

Cous cous Fest 2019: i piatti

Otto interpretazioni di cous cous molto diverse tra di loro. Palestina, Marocco e il Team Unhcr hanno presentato dei piatti ispirati alla tradizione di una cucina casalinga. Più ricche negli ingredienti e più ricercate nelle tecniche di preparazione le interpretazioni di Tunisia e Italia, che hanno però rischiato di eccedere in creazioni fin troppo elaborate.

La giuria di 11 giornalisti enogastronomici, presieduta da Enzo e Paolo Vizzari, ha premiato Mareme Cisse, chef senegalese del ristorante di Agrigento Ginger People&Food, che ha presentato una ricetta di cous cous di mare a base di polpo marinato, verdure croccanti, mango e spezie di Salamba. Un piatto che ha conquistato per l’equilibrio tra gli ingredienti e l’armoniosa fusione tra i sapori siciliani e quelli della sua terra d’origine. La chef senegalese Mareme Cisse si è aggiudicata anche il Premio per la Migliore Presentazione. Il piatto dello chef statunitense Kevin Sbraga ha vinto il Premio Gusto e Benessere, mentre il Team Italiano ha conquistato il Premio del Pubblico.

Ginger People&Food – Agrigento – via Empedocle, 21 – 0922 596151

a cura di Alessio Turazza

https://www.gamberorosso.it/notizie/cous-cous-fest-2019-vince-la-chef-mareme-cisse-di-ginger-peoplefood-di-agrigento/?utm_source=facebook&utm_medium=fb-post&utm_campaign=notizie_sito_2019&utm_content=cous-cous-fest-2019&fbclid=IwAR2pGZH86tuVZqhJ5numrNPdXBdTCFD3s5kzk3g-WcqeE23Se3s3GRj0oxI

Cous Cous Fest, Il Senegal si aggiudica in Sicilia il Campionato del Mondo

La premiazione di Mareme Cisse
foto da Cous Cous Fest

Gli chef provenienti da quattro diversi continenti si sono sfidati a San Vito Lo Capo nel preparare questo piatto dalle origini antiche che unisce molti popoli del Mediterraneo

SAN VITO LO CAPO (TRAPANI). È il Senegal ad aggiudicarsi la vittoria del XXII Campionato del mondo del cous cous che si è concluso ieri a San Vito Lo Capo (Trapani). Un evento unico nel suo genere, una competizione internazionale dedicata all’integrazione culturale che quest’anno ha visto partecipare, oltre al paese vincitore, anche Israele, Italia, Marocco, Palestina, Stati Uniti, Tunisia e, per la prima volta, il team dell’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Per tre giorni gli chef provenienti da quattro diversi continenti si sono sfidati nel preparare questo piatto dalle origini antiche che unisce molti popoli del Mediterraneo e che ha visto salire sul gradino più alto del podio Mareme Cisse, senegalese di Dakar, in Italia da quindici anni.

Il suo Cous cous Falilou (il cui nome rende omaggio al figlio maggiore) è stato il più apprezzato dalla giuria tecnica presieduta da Enzo e Paolo Vizzari proprio per semplicità e immediatezza dei gusti: un cous cous con tartare dell’orto, mango e polpo iohos, marinato e lessato secondo tradizione, servito su crema di carote e zenzero con erbette e spezie di Salamba. Mareme Cisse lavora al ristorante Ginger People&Food della cooperativa sociale Al Kharub di Agrigento con cui è molto impegnata in favore dell’inserimento lavorativo di donne e ragazzi stranieri rifugiati o in condizione di fragilità sociale. La cucina che propone rivisita la tradizione dell’Africa occidentale e quella siciliana, in un mix di culture e sapori secondo un antico proverbio siciliano che dice «a tavula è trazzera», la tavola è una strada che unisce. «Questo è lo spirito che anima il mio lavoro – dice Mareme – consapevole della necessità di costruire una società multiculturale, colorata e aperta verso il futuro»”.

Couscous di Falilou (Senegal)
askanews ph

Il Campionato del mondo del cous cous si è svolto come di consueto all’interno del Cous Cous Fest, un festival che ha proprio nell’integrazione culturale il suo cuore pulsante. Si percepisce camminando per le strade della cittadina conosciuta nel mondo anche per luoghi incontaminati come le riserve di Monte Cofano e dello Zingaro che poco distano dal centro della località marina. Un melting pot di culture che a settembre anima, per dieci giorni consecutivi, il lungo mare e il centro storico con assaggi di cous cous (celebre quello alla trapanese preparato con il pesce, grande vanto della cucina locale), lezioni di cucina a cura di chef come Andy Luotto, Filippo La Mantia o Antonella Ricci, scoperte gastronomiche, assaggi, talk show, concerti. Ed è ormai risaputo che i granelli di cous cous, a San Vito Lo Capo, abbiano il sapore della pace: lo testimonia non solo l’atmosfera di grande amicizia e rispetto con cui le diverse nazioni si sfidano durante il campionato mondiale, ma anche la presenza, quest’anno, del team dell’Unhcr. Basim Alfatlawi, rifugiato politico in Italia, fuggito dall’Iraq a seguito delle devastazioni della prima guerra del Golfo e Jamol Ismail Ssali, richiedente asilo ugandese ospite presso il progetto di accoglienza Cas di Pinerolese e Val Chisone, gestito dai Servizi Inclusione della Diaconia Valdese, sono stati i concorrenti che hanno partecipato alla competizione servendo un cous cous realizzato con cibo di scarto donando al loro piatto un’ulteriore valenza simbolica. Entrambi i concorrenti hanno preso parte al programma «Food for inclusion» all’Università di Pollenzo, realizzato in collaborazione con l’Unhcr, che ha come obbiettivo l’integrazione culturale ed economica dei rifugiati in Italia attraverso pratiche legate al food.

«Ci felicitiamo per la partecipazione di un team di rifugiati al Campionato del mondo di cous cous sotto la bandiera dell’Unhcr», ha detto Carlotta Sami, portavoce regionale UNHCR per il Sud Europa. «È stata un’occasione unica non solo per i rifugiati di dimostrare il loro talento, ma anche per il pubblico di conoscere le loro origini attraverso la preparazione di un piatto da sempre simbolo di apertura, scambio e integrazione». Soddisfazione anche da parte del primo cittadino: «Anche quest’anno San Vito Lo Capo è tornata a essere la capitale mondiale della contaminazione tra le culture – ha detto il sindaco Giuseppe Peraino – e il cous cous il pretesto per parlare di pace e solidarietà tra popoli all’insegna del nostro motto “make cous cous not walls».

Al Senegal è andato anche il premio per la migliore presentazione del piatto, mentre per il secondo anno consecutivo gli Stati Uniti, rappresentati dallo chef Kevin Sbraga, in squadra con Vanessa Anne Beahn, si sono aggiudicati il Premio Salute e benessere. La giuria popolare, composta dai visitatori della manifestazione, ha invece assegnato il podio all’Italia, rappresentata da Giuseppe Peraino, sanvitese, in squadra con il marsalese Francesco Bonomo e Massimiliano Poli, chef ad Eataly Paris Marais che hanno preparato un cous cous a base di tre consistenze di scorfano.

SARAH SCAPARONE da La Stampa 29 Settembre 2019

https://www.lastampa.it/cronaca/2019/09/29/news/cous-cous-fest-il-senegal-si-aggiudica-in-sicilia-il-campionato-del-mondo-1.37566040

COUS COUS FEST A SAN VITO LO CAPO: LA CHEF MAREME CISSE RAPPRESENTA IL SENEGAL

Il Campionato del mondo di cous cous è il cuore dell’evento, la gara gastronomica internazionale dedicata al cous cous, quest’anno all’insegna del motto “Make cous cous not walls”. Chef provenienti da Israele, Italia, Marocco, Palestina, Senegal, Stati Uniti e Tunisia si confronteranno a tavola, da giovedì 26 a sabato 29 settembre, per celebrare la pace e l’integrazione tra popoli.

Per l’Israele in gara Yosi Hanoka, chef all’ospedale Barzilai ad Ascalona, esperto di cucina kosher. L’Italia sarà rappresentata dal sanvitese Giuseppe Peraino, chef e patron dell’hotel e ristorante Tannure e dallo chef marsalese Francesco Bonomo, responsabile di cucina presso l’azienda che produce e distribuisce pasti all’Ospedale di Salemi (Tp), mentre il Marocco schiera in campo Mohamed Lamnaour, vincitore dell’edizione 2017 di Hell’s Kitchen. Per la Palestina gareggerà Ali Majid Ishaq Saleh che lavora come chef de partie al Movenpick dead sea hotel in Giordania insieme ad Ibrahim Naeel Ibrahim Aboazeb. Il Senegal sarà rappresentato da Mareme Cisse, chef del ristorante Ginger People&Food della cooperativa sociale Al Kharub, ad Agrigento, in gara con il figlio Falilou Diouf, mentre gli Stati Uniti d’America schierano Kevin Sbraga, vincitore di “Top Chef”, in onda sul canale televisivo statunitense Bravo e che ha partecipato anche a Masterchef Usa e Vanessa Anne Beahn. La Tunisia gareggia, invece, con Karim Bahbah, che lavora come sous chef a Parigi in un ristorante del gruppo del grande chef francese Alain Ducasse, e Walid Trabelsi, chef al ristorante Le 716 a Tunisi e membro dell’Accademia nazionale della cucina francese.

A loro si aggiunge un team speciale, quello sotto la “bandiera” dell’Unhcr,  l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e Kamba, un progetto di inclusione sociale per giovani richiedenti asilo e migranti. In squadra per l’Unhcr ci saranno due rifugiati politici, Basim Alfatlawi (Iraq) e Jamol Ismail Ssali (Uganda) che hanno partecipato al programma “Food for inclusion” promosso da Unhcr e l’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, che ha come obbiettivo l’integrazione culturale ed economica dei rifugiati in Italia attraverso pratiche legate al food.

“Ci felicitiamo per la partecipazione per la prima volta di un team di rifugiati al Campionato del mondo di cous cous sotto la bandiera dell’UNHCR,” ha detto Carlotta Sami, Portavoce regionale UNHCR per il Sud Europa. “E’ un’occasione unica non solo per i rifugiati di dimostrare il loro talento, ma anche per il pubblico di conoscere le loro storie e origini attraverso la preparazione di un piatto da sempre simbolo di apertura, scambio e integrazione.”

I piatti saranno valutati da una giuria popolare e di una giuria di esperti presieduta da Enzo e Paolo Vizzari, giornalisti esperti di enogastronomia. A condurre le manche Federico Quaranta, voce storica di Decanter in coppia con la food blogger italo-marocchina Siham Lamoudni, co-fondatrice di theShukran, il social network fotografico rivelazione del mondo musulmano, tra le top app più scaricate in molti paesi tra cui Marocco, Egitto e Pakistan che racconterà l’evento con fotografie e video. Inviato speciale del festival sarà lo showman Sasà Salvaggio.

Cooking show e concerti

Noemi, prima del concerto, si racconterà anche in un’intervista ai fan. In programma anche lezioni di cous cous, cooking show con grandi protagonisti della cucina tra cui Sergio Barzetti, Andy Luotto, Chiara Maci, Filippo La Mantia e Giorgione, spettacoli e concerti sotto le stelle. Si comincia venerdì 20 con Noemi che, alle ore 19, prima del concerto in programma alle ore 22 – tappa del Blues & Love Summer Tour – si racconterà ai suoi fan in un’intervista al palco in spiaggia, ad ingresso libero.

Si prosegue sabato 21 settembre con i Boomdabash. E ancora Sergio Vespertino (domenica 22), Cammurria (lunedì 23), Sikania (martedì 24), La Municipàl (mercoledì 25) Lello Analfino & Tinturia (giovedì 26), Mahmood (venerdì 27 per l’unica tappa in Sicilia), dj Ringo e Giuseppe Scarpato Power Trio ft. Filippo La Mantia (sabato 28 settembre) e Sasà Salvaggio (domenica 29 settembre). Tutti i concerti sono gratuiti.

https://nelpaese.it/dalle-regioni/sicilia/item/8511-cous-cous-fest-a-san-vito-lo-capo-la-chef-mareme-cisse-rappresenta-il-senegal

AL VIA UN CORSO DI CUCINA INTERCULTURALE

“Al Kharub cooperativa sociale” in collaborazione con “PRISM – Promozione Internazionale Sicilia Mondo” e la “Fondazione Comunitaria di Agrigento e Trapani” organizzano un corso di formazione di cucina nell’ambito del progetto “MIVA: Migrants’ Integration through Volunteering Activities” finanziato dal  Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione.

 

Il corso offre l’opportunità di sperimentare un laboratorio di cucina interculturale con la proposizione di ricette africane, italiane e siciliane.

Il corso prevede 10 incontri formativi e pratici dalla durata di 3 ore ciascuno con la chef Mareme Cisse ed ulteriori 12 ore dedicate al conseguimento della certificazione HACCP necessaria per lavorare con aziende che operano nel settore alimentare. Il corso si svolgerà tra ottobre e novembre 2019.

Il progetto MIVA mira a contribuire all’integrazione dei cittadini di Paesi Terzi attraverso la partecipazione alla vita culturale e sociale nelle comunità ospitanti, e a incoraggiare il rafforzamento delle capacità delle comunità locali di promuovere processi compartecipati di integrazione, volontariato ed animazione culturale.

Sede del corso: Ristorante Ginger people&food, Via Empedocle n.21 ad Agrigento

Docente: Ndeye Mareme Sagar Cisse (chef del ristorante Ginger people&food).

Scarica il programma del corso: LINK

Scarica la scheda d’iscrizione da inviare entro il 30 settembre 2019 LINK

Il corso prevede un numero di 10 partecipanti sia cittadini italiani che stranieri senza nessun limite di età.

La partecipazione al corso è gratuita!

Per ulteriori informazioni e/o presentare la propria domanda di iscrizione contattare l’indirizzo: coop.alkharub@gmail.com

BUON COMPLEANNO GINGER

Bellissima festa, lo scorso 24 agosto, per festeggiare il 3° compleanno del nostro ristorante. Una serata sulla nostra splendida terrazza e in compagnia dei nostri fratelli e amici Gaalgui Nguewel musicisti senegalesi e siciliani che hanno allietato la serata con musica tradizionale del paese subsahariano

Grande partecipazione, soprattutto dei tanti clienti/amici che hanno voluto condividere con noi questo evento per noi molto importante

Un ringraziamento da parte dello staff e di tutta la cooperativa Al Kharub a tutti quelli che ci hanno sostenuto con il loro affetto e apprezzamento durante tutto questo anno ricco di soddisfazioni

-AFROAMERICANA-

Improvvisazioni per kora e chitarra blues

con Jali Diabate (kora) e Umberto Porcaro (chitarra e dobro)

Cena e Concerto, venerdì 12 luglio 2019 ore 21,30

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Cuttaia: avanguardia oggi è riscoprire la cucina dimenticata del Mediterraneo

Lo chef contemporaneo? Baluardo di saperi-sapori. Il pensiero di Pino al congresso Encuentro de los Mares in Andalusia

Bellissima idea questa di Encuentro de los Mares, prima edizione di un congresso che si è tenuto nei giorni scorsi tra Malaga, Cadice e dintorni, organizzato da quelli di Vocento, il principale gruppo di comunicazione multimediale nel mercato della stampa in Spagna e che firma oggi anche continua…