Le 10 Osterie Slow Food preferite da Vanity Fair

Un’osteria non è solo un luogo dove si mangia ad un buon rapporto qualità-prezzo: è soprattutto un avamposto della cultura del cibo tradizionale, delle materie prime, della filiera corta (almeno, lo è nell’accezione di Slow Food)

Le Osterie Slow Food compiono 35 anni: almeno, li compie la Guida che dal 1990 recensisce le migliori Osterie d’Italia. Non solo le più buone, non solo le più veraci, ma soprattutto quelle che da sempre seguono i principi dell’associazione del cibo Buono, Pulito e Giusto fondata da Carlin Petrini. Piccole realtà familiari che per tradizione si approvvigionano da contadini locali, lavorando sul chilometro zero da prima che si chiamasse così. Ma anche osterie moderne e contemporanee, che hanno imparato quell’approccio alla qualità, al rispetto delle materie prime e dei cicli della natura e lo riportano nel piatto. Cucina territoriale, selezione degli ingredienti e accoglienza genuina: sono questi i parametri che fanno delle Osterie d’Italia di Slow Food dei luoghi che vale la pena visitare. E in effetti, sono sempre di più, tanto che quest’anno i locali segnalati in tutto il Paese arrivano alla ragguardevole cifra di 1917.

Accanto alle osterie, ai ristoranti, alle enoteche con cucina e agli agriturismi, c’è nell’edizione 2025 anche una novità. Quest’anno infatti si è voluta inaugurare una sezione chiamata Locali Quotidiani, che raggruppa tutte quelle tipologie ristorative alternative come pastifici, pub, enoteche e gastronomie le cui caratteristiche – in primis l’attenzione e l’aderenza al territorio, la selezione di materie prime e un particolare stile di accoglienza attento alla convivialità – rientrano a tutti gli effetti nell’idea di osteria così come raccontata da Osterie d’Italia. 134 nuovi indirizzi che vanno quest’anno a sommarsi a tutte le altre novità, facendo lievitare a 460 i nuovi ingressi, a testimonianza di un settore che continua a crescere e rinnovarsi.

Dei 1917 locali segnalati nella guida, sono 324 i locali premiati con il massimo riconoscimento della Chiocciola. Moltissime si trovano in Piemonte, la regione con il maggior numero di osterie segnalate (178), seguita da Campania (172) e Toscana (164).

Prosegue inoltre la segnalazione di quelle realtà gastronomiche regionali uniche raccolte negli inserti, che si individuano facilmente nella Guida grazie alle pagine rosa in cui sono raccolte, al termine di ogni sezione regionale: accanto alle piadinerie romagnole, i fornelli pugliesi, i farinotti liguri e tanti altri, nella trentacinquesima edizione fa il suo ingresso l’inserto delle migliori pizze al padellino a Torino.

«Il futuro è anche qui, in osteria, dove ostesse, osti, cuoche e cuochi e il preziosissimo personale di sala esprimono non solo un’altra idea di ristorazione, ma di mondo», commenta Barbara Nappinipresidente di Slow Food. «Un’idea di mondo in cui si governa il cambiamento nel quotidiano con le scelte su approvvigionamento, stagionalità, filiera corta, su una ricerca in cucina non leziosa, sulle condizioni di lavoro dei collaboratori, sul modo di accogliere e far sentire gli ospiti a casa. Così come anche adottando pratiche che riducono lo spreco, rifiutano l’usa e getta, valorizzano gli scarti e i cibi cosiddetti umili. Scelte che educano a tavola e in cucina. Ci dimostrano orgogliosamente, ogni giorno, che il convivio è bellezza. E dove c’è bellezza si vive meglio».

Ecco dieci osterie, tra tutte quelle raccolte quest’anno da Slow Food, che anche noi ci sentiamo di segnalare in giro per l’Italia.

Reis Cibo Libero di Montagna – Busca (CN)

Il termine Osteria forse non rende esattamente il grande lavoro che sta facendo Juri Chiotti nel suo Reis Cibo Libero di Montagna, un luogo dove ha ritrovato, per sé e per i suoi clienti, il contatto vero con la natura, con i suoi ritmi, con i suoi prodotti, e perfino con una cucina ancestrale fatta di fuoco, legno, pietra. Un’esperienza culturale e (davvero) rivoluzionaria.

Babeuf – Cagliari

Un’osteria di quartiere, moderna nella proposta ma antica nella filosofia: qui si va lentamente, tra letture e cibo, cultura e vini naturali, riflessioni e tè. Per la guida Osterie d’Italia vince il premio Novità dell’anno 2025.

Antica Trattoria del Gallo – Gaggiano (MI)

Una trattoria vecchio stile, rimasta quasi identica a centocinquant’anni fa, quando venne fondata. Da allora, è uno dei rifugi dei Milanesi in gita fuori porta, che qui trovano la cucina della tradizione lombarda: carni, risotti, il pollo alla diavola, la càsoeûla, il cotechino nostrano con le lenticchie.

Ginger People&Food – Agrigento (AG)

Un bel progetto non solo gastronomico: questo ristorantino è infatti portato avanti dalla cooperativa sociale Al Kharub, il cui obiettivo è quello di creare inserimento lavorativo per persone con svantaggio sociale tra cui persone con disabilità, migranti e rifugiati. Anche il concept del menu è bello e originale, e punta alla riscoperta delle radici comuni tra la cucina siciliana e quella africana.

La ciottolona – Boccheggiano (GR)

Duccio Frullani è lo chef che ha preso in mano le redini di questo ristorante di famiglia in un borgo medievale della Maremma toscana: qui si mangia una cucina creativa ma fortemente radicata al territorio, nei prodotti come nell’ispirazione.

Osteria del Castello – Arquata del Tronto (AP)

La storia di come quest’osteria marchigiana si sia rimessa in piedi dopo essere stata gravemente danneggiata nel terremoto del 2016 è solo uno dei motivi che spinge ad andarla a visitare. Gli altri sono prodotti del territorio, pasta fatta in casa e una cucina di tradizione verace e buona.

Scannabue – Torino (TO)

New entry di quest’anno, Scannabue è uno dei ristorantini di cucina piemontese più noti e apprezzati di Torino. Accoglienza perfetta, atmosfera piacevole, un menu che comprende tutti i grandi classici del territorio (perfino alcuni quasi introvabili, come la finanziera) e una carta dei vini memorabile.

Taverna a Santa Chiara – Napoli

Un locale di cucina napoletana vera, quella più povera e contadina, con una grande attenzione ai piccoli produttori locali per il reperimento delle materie prime. Leggendaria la loro Zuppa tradizionale di fagioli e scarole con fagiolo dente di morto, premiata da Osterie d’Italia come piatto dell’anno.

Entrà – Finale Emilia (MO)

Tanto prodotto (i salumi artigianali con la focaccia al forno sono un antipasto imperdibile), tantissima tradizione emiliana, soprattutto nei passatelli e tortellini in brodo di cappone e manzo. Da manuale.

Menabò vino e cucina – Roma

Si definisce una «trattoria popolare» Menabò vino e cucina, e lo è nello spirito con cui affronta le cose ma anche nel modo in cui interloquisce con i suoi fornitori, cercando di rimettere la materia prima al centro. Cucina curata e golosa, e carta vini super interessante.

di Valentina Dirindin 15 ottobre 2024

https://www.vanityfair.it/gallery/nuove-osterie-slow-food-2025?fbclid=IwY2xjawG6sz5leHRuA2FlbQIxMAABHSzhjz1rGMp70TqQc_D18T7uQBWxLG0UFSensBD3krycxrcBGc41xHWKeA_aem_lyG41jNd0kvLuVvbKqmtCQ

Da Eataly la Cena delle Osterie d’Italia

Gran finale, per la presentazione della Guida delle Osterie d’Italia, con un evento da Eataly a Milano.

Una cena a sei mani con tre cuochi di Osterie d’Italia chiocciolate, organizzata con Slow Food Editore , in particolare con Piccola Osteria Tera ( Sogliano al Rubicone,FC) La Brinca ( Ne, GE) Ginger – people&food ( Agrigento).

Nella patria del risotto, la nostra Mareme Cisse ha proposto propone un Risotto con Vastedda del Belice al basilico e sentore di limone e aglio rosso di Nubia per 110 persone

Milano 14 ottobre 2024

Anche per 2025 Chiocciola confermata

🐌Anche quest’anno….la Chioccola delle Osterie d’Italia di Slow Food Editore, la Guida gastronomica più venduta in Italia, confermata.

Questo riconoscimento, ottenuto per il terzo anno consecutivo, individua le realtà ristorative che meglio incarnano la filosofia di Slow Food sul territorio

Quest’anno la motivazione riportata in guida dice ” Familiarità, accoglienza e ricerca della qualità in ogni dettaglio rendono Ginger un locale unico

La presentazione della Guida con la consegna delle chiocciole si è svolta a Milano, nel Piccolo Teatro Streheler, con 1917 locali in Guida di cui 324 chiocciole in tutto il territorio nazionale

Milano, 14 ottobre 2024

La cucina di Ginger sulla rivista gastronomica tedesca essen&drinken

Su “essen&trinken”, rivista tedesca di gastronomia, con un reportage sui sapori tradizionali e d’avanguardia nell’agrigentino di Annette Rubesamen e foto di Frank Bauer, si presenta il territorio agrigentino e le sue sfaccettature gastronomiche. Uno spazio è dedicato al concetto della ricchezza e unicità della cucina siciliana, frutto di una costante evoluzione determinata dal confronto e dalla sovrapposizione di culture differenti. Un’ evoluzione che non si è mai fermata e che continua anche oggi, con i saperi di chi arriva da lontano e si stabilisce nell’isola, portando con se un bagaglio di saperi e di sapori.

Il lavoro che stiamo portando avanti con il Progetto “Ginger”, in fondo, rappresenta proprio questo, un viaggio verso una nuova cucina, che si arricchisce di nuovi che guarda alla tradizione e con i piedi ben piantati nel territorio

Premio speciale per la Migliore Interpretazione della Cucina Regionale nella Guida alle Osterie d’Italia per Ginger-people&food

Confermata anche la Chiocciola nella prestigiosa Guida di Slow Food Editore

La Chiocciola confermata da Slow Food Editore nella Guida alle Osterie d’Italia 2024 per Ginger – people&food. Ma non possiamo descrivere l’emozione per il premio speciale, inaspettato, per la Migliore Interpretazione della Cucina Regionale. In particolare la motivazione ha riassunto lo spirito del nostro lavoro.

Fin dall’inizio il simbolo da noi adottato per il logo del ristorante, Sankofa, sintetizza la nostra filosofia. “Andare verso il futuro, guardando sempre il nostro passato”. E’ per questo che abbiamo voluto dedicare questo premio alle nostre nonne, le nostre muse, che lunedì mattina erano presenti in spirito con noi al Teatro Elfo Puccini di Milano

🔴 Osterie d’Italia 2024: osti e ostesse sono il vero presidio del patrimonio gastronomico del nostro PaeseIn libreria dal 25 ottobre, la trentaquattresima edizione della guida che recensisce più di 1750 locali segnalati per la cucina territoriale, la selezione degli ingredienti e l’accoglienza genuina.Ginger People&Food – Agrigento si è aggiudicato Il premio Miglior Interpretazione della Cucina Regionale, consegnato da *Roberto Calugi*, Direttore Generale FIPE – Confcommercio con la motivazione:

“Una cucina la cui identità si fonda sui giochi di parallelismi, similitudini e comunanze che trascendono confini e culture, risultando in una mescolanza di sapori e popoli di cui, d’altronde, l’identità siciliana ne è esempio da secoli.”

“Il Premio “Miglior interpretazione della Cucina Regionale” che consegniamo oggi rispecchia l’impegno della Federazione nella promozione delle specificità territoriali della ristorazione, che testimoniano al meglio l’autenticità della cucina italiana: una cucina autentica, diretta e in grado di valorizzare sia i prodotti che il territorio”, ha dichiarato *Lino Enrico Stoppani*, Presidente di FIPE-Confcommercio. “FIPE è da sempre attiva nel valorizzare la ricchezza del patrimonio enogastronomico del nostro Paese attraverso diverse iniziative sul territorio mirate a sviluppare le competenze professionali e promuovere la cultura dell’innovazione. In questo senso, la collaborazione con Slow Food rafforza il percorso di consolidamento di un network imprenditoriale finalizzato a diffondere i valori delle tradizioni locali quali diverse espressioni di un’unica cultura, quella italiana”, ha concluso Stoppani.Leggi la nota al link 🔗https://bit.ly/3FpGAil

Da Al Kharub l’integrazione sociale avviene tra api e cucina mediterranea

Dal 2011 ad Agrigento la cooperativa sociale Al Kharub costruisce opportunità lavorative per facilitare l’inserimento di persone in condizioni di svantaggio tramite l’apicoltura e la ristorazione. Da un lato la reintroduzione dell’ape nera siciliana, dall’altro il ristorante Ginger-people&food, la sua cuoca magica Mareme Cisse e il cous cous più buono del mondo.

Scritto da: SALVINA ELISA CUTULI

Agrigento – Il carrubo è la tipica pianta del Mediterraneo: è rustica, poco esigente, cresce bene in terreni aridi e poveri e sopporta i climi caldi. Una pianta che unisce molti paesi che nei secoli si sono mescolati influenzandosi a vicenda, facendo dell’integrazione e dell’inclusione la vera arma vincente.

É per questa sua natura così molteplice che la traslitterazione dall’arabo, Al Kharub, è stata scelta come nome della cooperativa agrigentina nata nel 2011 per costruire opportunità lavorative e creare inclusione interattive, puntando sulla realizzazione di produzioni di beni e servizi di qualità come costruttori di ponti. Il nome è la testimonianza del legame tra mondi e culture solo apparentemente distanti, fortemente permeati nelle loro diverse espressioni. E Al Kharub ne è la prova.

«La cooperativa nasce per iniziativa di alcuni riabilitatori – racconta Carmelo Roccaro, presidente di Al Kharub – ambientalisti e giovani rifugiati. Nasce come costola di una cooperativa più grande che si occupa di riabilitazione neurologica in coerenza con il modello ICF, l’International Classification of Disability and Functioning, adottato dall’OMS, che affronta la disabilità non solo da un punto di vista medico, ma anche sociale e ambientale, come effetto della relazione tra lo stato di salute della persona e il contesto in cui questa vive, la presenza di barriere e di facilitatori».

al kharub

«Da qui – prosegue Carmelo – una cooperativa a inserimento lavorativo anche erogatrice di servizi che possano facilitare l’inserimento di persone in condizioni di svantaggio: disabili psichici, motori e sensoriali, rifugiati e persone sottoposte a regimi di pena che hanno necessità di essere aiutati nell’inserimento». 

LE PRIME INIZIATIVE

Per raggiungere questi obiettivi sociali Al Kharub, sin da subito, ha puntato all’agro-alimentare e alla tutela del territorio. Ha così partecipato a un progetto dedicato all’apicoltura all’interno del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi, APESLOWper la reintroduzione dell’ape nera locale – l’apis mellifera siciliana – sull’isola. «Non possiamo dire che alleviamo l’ape in purezza perché è un lavoro estremamente complesso, ma speriamo di riuscirci un giorno», commenta Carmelo.

L’ape nera è stata soppiantata dall’apis mellifera ligustica, importata negli anni ‘70 e conosciuta anche come “ape italiana”, per le sue presunte capacità produttive e per la poca disponibilità dell’ape nera nel territorio siciliano, allevata ancora in modo tradizionale. Alcune delle poche famiglie di apis mellifera siciliana rimaste – nonostante la specie fosse adattata perfettamente alle diverse condizioni climatiche dell’isola tanto da riuscire a fare miele invernale come quello con i fiori di nespolo e carrubo – sono state portate nelle isole più piccole, Ustica, Eolie e Pelagie, per isolarle da altre sottospecie ed evitarne l’ibridazione.

La nostra cooperativa è la dimostrazione che situazioni di fragilità riescono a generare risultati incredibili

Oggi nel Giardino della Kolymbetra, all’interno del Parco Archeologico della Valle dei Templi, la cooperativa ha realizzato un piccolo alveare che non solo contribuisce alla salvaguardia della specie, ma permette anche di ricevere gli innumerevoli benefici che offre questo prezioso animale, tra cui l’impollinazione degli agrumi presenti. Intanto attraverso il marchio Diodoros il Parco Archeologico ha iniziato a produrre miele da ape nera grazie anche all’inserimento lavorativo di persone con svantaggio sociale della cooperativa sociale Al Kharub.

DALLE API ALLA RISTORAZIONE

Nel 2014, grazie all’apporto di nuovi soci migranti presenti nel territorio, Al Kharub ha anche avviato un’attività di ristorazione, all’inizio solo take away, che ha permesso di contrattualizzare tre soci lavoratori, tutti appartenenti a fasce critiche, tra cui due persone con disabilità. La chef, Mareme Cisse è riuscita a creare una magica fusione tra le ricette del Senegal e quelle delle nonne agrigentine. Un esempio di integrazione tra arancini, cous cous, brik tunisini ripieni di caponata e baccalà in insalata senegalese. 

Mareme ha anche vinto il Festival Internazionale di Cous Cous di San Vito Lo Capo nel 2019. Il ristorante Ginger-people&food è ormai diventato l’attività principale di Al Kharub. Un nome che richiama la bevanda tradizionale senegalese, ma anche e soprattutto l’importanza che la cooperativa dà alle persone prima ancora che al cibo

mereme

«Il cous cous è il nostro piatto principale, la nostra punta di diamante, preparato in maniera tradizionale, cotto a vapore, lavorato a mano. Un cibo migrante diventato ormai una pietanza tradizionale nella zona di Trapani. Non molti sanno che nella seconda metà dell’800 parecchi pescatori siciliani emigravano in Tunisia per lavorare. Marsala, Trapani e San Vito Lo Capo sono le località che hanno avuto maggiori scambi con l’Africa, tanto da trasformare un piatto “straniero” in uno tradizionale», ricorda Carmelo.

Una pagina di storia che dovrebbe essere ricordata da chi oggi considera stranieri tutti coloro che si spostano alla ricerca di una vita migliore, proprio come hanno fatto molti dei nostri avi in un passato neanche troppo lontano. La bravura di Mareme e la bontà della sua cucina hanno avuto tanti riconoscimenti. Da qualche anno Ginger-people&food fa parte della guida alle osterie d’Italia Slow food e nel 2023 ha ricevuto la chiocciola, il riconoscimento dato alle migliori osterie all’interno della guida. Mentre Mareme è diventata membro dell’alleanza dei cuochi.

«Una cuoca che porta avanti un’idea di cucina che va nel senso dell’integrazione. Da sempre, del resto, la cucina è frutto della contaminazione e degli incontri con altre culture. La cucina siciliana in questo è emblematica. Noi partiamo molto dal territorio, dai prodotti locali, dalla stagionalità e condividiamo le ricette modificandole. L’utilizzo delle spezie fa la differenza, una contaminazione a 360 gradi. Difficilmente si ammette che ci possono essere dei cuochi dal Sud del mondo capaci di proporre una cucina di qualità e farsi pagare il giusto prezzo. Noi l’abbiamo e il nostro cous cous vengono a mangiarlo da tutte le parti della Sicilia e non solo», continua Carmelo.

YOUTH & FOOD E IL LABORATORIO DI FALEGNAMERIA

Le attività realizzate da Al Kharub dimostrano come attraverso le fragilità si può davvero fare qualcosa di qualitativamente importante. La vera risorsa e il miglior ingrediente è la biodiversità umana e culturala. E a proposito di biodiversità… vengono dal Benin, dal Mali, dal Pakistan, dal Senegal e dal Maghreb, hanno tra i 17 e i 19 anni e il bagaglio pesante di chi ne ha già viste tante e la luce di chi comunque ancora crede di avere una chance di realizzare il proprio sogno attraverso il cibo, imparando un mestiere, inserendosi in una nuova comunità.

ristorante

Sono i giovani che partecipano al percorso di inclusione sociale, lavorativa e abitativa previsto dal progetto Youth & Food – Il cibo veicolo di inclusione, selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, messo a punto da Slow Food. Il progetto si svolge nell’arco di tre anni e coinvolgerà in tutto 60 minori stranieri non accompagnati nelle città di Agrigento e Torino, proprio grazie al lavoro della cooperativa sociale Al Kharub.

E sempre ad Agrigento – a Villaseta, uno dei quartieri più difficili – la cooperativa ha avviato anche un laboratorio di falegnameria per la costruzione e la manutenzione di arnie, telaini, cassetti e quanto serve per l’apicoltura. «Veniamo da un periodo difficile, ma adesso stiamo cercando di ripartire, riequilibrare tutto e proiettarci verso un incremento dell’attività di ristorazione. L’idea è aprire ulteriori punti in altre cittàormai il nostro brand è conosciuto e riconosciuto. Siamo orgogliosi di quello che facciamo, ma è dura».

«Ci interroghiamo quotidianamente come andare avanti. Non puntiamo ad un profitto generato dalla compassione, ma dalla qualità. La nostra cooperativa è la dimostrazione che situazioni di fragilità riescono a generare risultati incredibili. Alle persone occorre dare delle chance, degli esempi, dire che le alternative esistono, sempre, solo così possiamo migliorare come umanità» conclude Carmelo Roccaro.

A Cena con gli Agrumi della Kolymbethra

Biodiversità e promozione del territorio

Dallla collaborazione con il FAI – Giardino della Kolymbethra nasce, tra gli altri, un progetto per la valorizzazione del nostro territorio e delle nostre biodiversità con gli agrumi del giardino, da oggi in carta per tutti i clienti del nostro ristorante.

Attraverso un QRcode sarà possibile visitare il sito web del bene FAI e potere scoprire le antiche varietà vegetali immerse in uno splendido paesaggio. (https://fondoambiente.it/luoghi/giardino-della-kolymbethra)

Questa cena avrà come tema proprio gli Agrumi della Kolymbethra, con un menù dedicato e preparato con le mani della nostra Mareme Cisse

Per info e prenotazioni tel. 0922596151

Intervengono Federica Salvo, Responsabile e Giuseppe Lo Pilato, agronomo paesdaggista del FAI-Giardino della Kolymbethra

In Cucina con Slow Food: La Sicilia incontra il Senegal

Il 27 febbraio l’appuntamento online per la lezione di cucina con la cuoca del ristorante Ginger-people&food di Agrigento, che fa parte dell’Alleanza Slow Food dei cuochi

«Penso a questo appuntamento da mesi!» e le crediamo, perché la voce con cui lo dice tradisce emozione e impazienza. Lei è Mareme Cisse, chef senegalese trapiantata ad Agrigento, in Sicilia, e l’appuntamento a cui fa riferimento è la lezione online di In cucina con Slow Food che la vedrà protagonista, lunedì 27 febbraio alle 18. «Sono molto, molto emozionata – racconta al telefono – perché sarà l’occasione per far vedere, attraverso i piatti, la mia Africa, per conoscere un po’ del mio Senegal».

Mareme, hai già partecipato (e vinto) anche in programmi tv, eppure sei così emozionata per una videolezione…  

È vero! Ho cucinato in televisione (nel programma “Cuochi d’Italia: campionato del mondo”, in onda su tv8, che l’ha vista trionfare, ndr) ma lì è tutto diverso: questa è una sfida, in cui in un’ora dovrò raccontare e cucinare due piatti, e soprattutto potrò presentare il mio Paese. Sono grata per l’opportunità che Slow Food mi ha dato.

Quali sono i due piatti che hai in mente?

Il primo è la yassa, uno dei piatti nazionali senegalesi, che preparerò in una versione a base di pesce. Da noi, tradizionalmente, si mangia la domenica, il giorno del riposo, quando tutti quanti si è a casa, insieme. Proporrò una ricetta rivisitata, adattata con gli ingredienti siciliani.

Che tipo di pietanza è?

Un piatto unico, molto ricco: in Senegal, come pesce, si prediligono la triglia e la cernia, mentre io lo cucino con lo sgombro, accompagnandolo con riso e spezie; tra gli ingredienti ci sono anche la senape di Dijon, le cipolle, il miele e i limoni: un omaggio a questa terra!

E l’altro piatto, invece, quale sarà?

Una zuppetta di baccalà e latte di cocco, con erbe e spezie. Un piatto profumato, gustoso, davvero buono. Entrambi sono piatti che propongo nel mio ristorante Ginger-people&food di Agrigento.

Che cosa racconti con la tua cucina?

Quello che cerco di fare è prendere qualcosa sia dal Senegal, dove sono nata, sia dall’Italia, che mi ospita da 19 anni, e mescolarlo. La mia cucina è il tentativo di avvicinare due mondi diversi ma che hanno radici comuni, di accostare sapori e ingredienti ai quali talvolta siamo poco abituati, ma soprattutto di raccontare luoghi, persone ed esperienze di vita.

Una cucina che è esempio di scambio, confronto, coesione tra popoli e cultura dell’accoglienza: quella che sarà protagonista di Nuove geografie: il Senegal incontra la Sicilia, l’appunamento onine del 27 febbraio con Mareme Cisse!

Marco Gritti, m.gritti@slowfood.it

Leggi anche: Mareme Cisse: «Non chiamatela cucina etnica, è solo un’etichetta che toglie valore al cibo»

Mareme Cisse: «Non chiamatela cucina etnica, è solo un’etichetta che toglie valore al cibo». E al lavoro delle persone

Per lei, Ginger è il quinto figlio: nato nel 2014, è «il più piccolo». Gli altri quattro, di anni, ne hanno tra i venti e i dieci. Solo che Ginger non è esattamente quello che uno si immagina quando pensa a un figlio: è un ristorante.

l nome completo è Ginger-people&food, si trova ad Agrigento, in Sicilia, fa parte dell’Alleanza Slow Food dei cuochi e ha appena ottenuto la Chiocciola, il riconoscimento più prestigioso della guida Osterie d’Italia di Slow Food. 

Tre tavoli in salotto

mareme cisse Ginger
© Fabio Florio

Lei, la mamma, si chiama Mareme Cisse. Originaria del Senegal, in Italia dal 2004, di professione fa la cuoca. “Innovativa, creativa, energica”: così viene descritta sulle pagine del sito web di Ginger-people&food. Chiacchierando con lei al telefono l’energia arriva eccome, questo è certo: «Sono gelosissima del mio ristorante – racconta –. Ci vado tutte le mattine, anche se a pranzo apriamo soltanto il sabato e la domenica: mi piace essere qua». Ama il suo lavoro, ama la cucina, ama quello che il cibo porta con sé: le vite e le storie di donne e di uomini. E sono l’energia, la caparbietà, la forza di volontà quelle che le hanno consentito di superare le difficoltà incontrate nei primi tempi in Italia, vissuti senza lavoro, senza conoscere la lingua, senza gli affetti della sua famiglia in Senegal, ma con i figli da crescere. «Dovevo lavorare e avevo una sola arma: la cucina. Ho sempre cucinato, fin dai tempi in cui, nei mesi estivi di vacanza da scuola, andavo nel ristorante delle mie zie a Dakar. Così, nel 2005, ho cominciato a cucinare a casa mia qui ad Agrigento e a servire le persone che venivano a mangiare da me, sedute in tre tavolini allestiti nel salotto».

«Il primo mese venivano soltanto senegalesi – ricorda oggi –. Poi, un giorno, è arrivato un ragazzo con due amici: tre giorni più tardi mi ha richiamato, dicendomi ‘Siamo in sette’. Presto si è sparsa la voce che c’era una donna senegalese che cucinava bene e che accoglieva gli ospiti a casa sua. Hanno cominciato ad arrivare gli agrigentini, poi anche i turisti. Mi chiamavano per compleanni, per matrimoni e anniversari, ogni volta che qualcuno aveva qualcosa da festeggiare». Nel frattempo, qualche lavoretto nei locali della zona: ma niente che le desse la giusta stabilità, nessun contratto serio.

La svolta arriva qualche anno dopo, nel 2013. «Ho ricevuto una chiamata e dall’altra parte del telefono c’erano quelli della cooperativa Al Kharub: stavano organizzando una cena di raccolta fondi e avevano pensato di rivolgersi a me». Al Kharub, che in arabo significa carrubo, pianta simbolo dell’area mediterranea, è una cooperativa sociale di Agrigento che si occupa dell’inserimento lavorativo di persone con disagio sociale e dell’integrazione sociale-multietnica di cittadini extracomunitari, migranti, profughi o rifugiati. La cena diventa più di una cena: è l’occasione per conoscersi reciprocamente. Da quell’incontro nasce l’idea di aprirsi al pubblico. Prima, nel 2014, come locale per l’asporto; due anni più tardi, sulla scia anche dei tanti clienti che chiedevano di potersi sedere a mangiare i piatti di Mareme Cisse, come un vero e proprio ristorante. «Alla cooperativa devo tanto e li ringrazio ogni giorno – spiega la cuoca – perché mi ha dato una mano e, soprattutto, un futuro».

Cucina etnica proprio no

Al ristorante Ginger-people&food si mangiano piatti siculo-senegalesi. Che cosa significa? Che, attraverso i piatti, Mareme cerca di far riscoprire le comuni origini delle due tradizioni culinarie. Anche mescolandole e rivisitandone le ricette, se necessario. «La mia cucina utilizza soprattutto prodotti del territorio e i Presìdi Slow Food» spiega. Ed è verissimo: il pomodoro buttiglieddru di Licata, il fagiolo cosaruciaru di Scicli, il caciocavallo di razza modicana, l’aglio rosso di Nubia, la fava cottoia di Modica, per esempio. Ingredienti locali inseriti in una visione culinaria globale nelle ricette, nei sapori, nelle rielaborazioni.

mareme cisse Ginger
© Fabio Florio

Nel menù, il cous cous la fa da padrone – nel 2019 la chef ha vinto il campionato mondiale di San Vito e lei, in carta, ne propone tre versioni (di carne, di pesce, vegetariano) – «ma la mia cucina non è solo questo» puntualizza lei. I suoi piatti cambiano ogni mese – «ci sono clienti che aspettano solo quel momento!» racconta con un pizzico di orgoglio – ma non mancano mai riso, legumi e ingredienti come la manioca e il miglio, che «alcune persone non hanno mai mangiato e che assaggiano da me per la prima volta». E poi la citronella, le alghe, bevande come il tamarindo… insomma, una cucina che riprende i piatti isolani accostandoli a sapori ai quali non siamo abituati. 

Ma non chiamatela cucina etnica! «Il cibo etnico, per come lo vedo io, non esiste: è un’etichetta, niente più. Molti lo associano a un sapore piccante, pensano che significhi mangiare tanto e che quello che c’è nel piatto non ha valore». Per lei, invece, il cibo ha un gran valore: «Chi entra nel mio ristorante è come se salisse sul treno della mia vita – racconta Mareme Cisse –. Sono cresciuta in una famiglia numerosa: quando ci sediamo a tavola parliamo, ci apriamo, ascoltiamo e capiamo i problemi altrui. Mangiare significa prendersi il tempo da dedicare ai nostri commensali». Anche cucinare per gli altri ha lo stesso significato, e i risultati lo dimostrano: «Abbiamo prenotazioni per aprile, anche da clienti che arrivano dall’America – conclude –. Ed è bello che il mio lavoro venga apprezzato anche qua, lontano dal Senegal dove sono nata. Bello perché tre dei miei figli sono nati in Italia e io stessa, oramai, mi sento e definisco siciliana».

Marco Gritti, m.gritti@slowfood.it

www.fondazioneslowfood.com

Chiocciola di Osterie d’Italia 2023 a Ginger-people&food nella prestigiosa guida di Slow Food editore

É arrivata la Chiocciola di Osterie d’Italia…. inaspettata, in un momento per noi molto duro. Tanti sacrifici, tanti errori, tante cadute, ma anche tante soddisfazioni, tantissimo ancora da fare e da migliorare in un territorio difficile e poco aperto ai cambiamenti. Un riconoscimento per un duro lavoro ( non sempre compreso) di rigenerazione umana in una città di frontiera come la nostra.

L’ Accoglienza per il cliente é la parola chiave. E oggi, con questa Chiocciola, possiamo dire che Slow Food ha riconosciuto la ricchezza del processo di meticciato della gastronomia siciliana che non si é mai fermato

Grazie Slow Food Italia e Slow Food Editore per credere in noi, nella nostra proposta gastronomica che guarda al futuro con i piedi ben piantati nel nostro territorio e nelle nostre tradizioni multiculturali.